Il teatro come strumento di lavoro politico, sociale, etico ed estetico, quasi un utensile che con il suo uso contribuisca alla trasformazione sociale: o Teatro do Oprimido, la metodologia creata dal brasiliano Augusto Boal nel 1960, è stato sviluppato durante le sue diverse esperienze in America Latina (finchè non venne esiliato) ed in Europa.
Secondo la base teorica del TdO, quando si recuperano i mezzi di produzione teatrale per le persone e l'accesso ai gruppi sociali meno favoriti, è possibile un altro modo per analizzare lo sfruttamento di situazioni di oppressione, dando valore alla capacità creativa delle persone, in particolare degli oppressi, per addivenire ad una maggiore consapevolezza sociale, e trasformare la realtà; serve dunque come veicolo per l'organizzazione e la discussione dei problemi, per mobilitare individui/attori sociali in difesa dei loro diritti e favorire la partecipazione civica, fornendo agli "spett-attori" modi propri di esplorare, mettere in scena, analizzare e trasformare la realtà che essi stessi vivono, ovvero ciò che in Brasile chiamano costruire il “sogno possibile” (v. Paulo Freire ne La pedagogia degli oppressi).
Nei prossimi giorni, il Teatro degli Oppressi è a Napoli: è qui che dal 16 al 19 Ottobre si terrà infatti il 5° Festival Nazionale promosso dal Gruppo TdO Napoli e dintorni, ponendo al centro temi come il bullismo, il lavoro precario, l'ambiente, l’educazione e l'immigrazione. Strade, piazze, scuole ed altri luoghi di fermento della città saranno i palcoscenici in cui espandersi alla ricerca di situazioni di malessere, disagio e conflitto che generano ‘oppressioni’, ed in cui immettere le loro tecniche per sperimentare nuove azioni e contribuire alla costruzione di una cittadinanza attiva, che aspiri anzitutto al cambiamento personale, poi sociale e politico, senza la patina delle verità precostituite o di magiche soluzioni, come spesso accade invece nella finzione teatrale.
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